Brescia: roccaforte del bracconaggio in Italia
Le Alpi Bresciane, tra il Lago di Garda ad est e il Lago d'Iseo ad ovest, sono tra le più importanti rotte di migrazione degli uccelli in Europa. Quando gli uccelli attraversano le Alpi già innevate in autunno, trovano un paesaggio ancora di fine estate con uliveti, prati fioriti e boschi ricchi di bacche. In nessun altro luogo in Italia così tanti cacciatori e bracconieri vanno a caccia di uccelli, usando una così grande varietà di mezzi.
20.000 cacciatori con licenza

Quando a settembre inizia la stagione venatoria, più di 20.000 fucili da caccia entrano in funzione a Brescia. Uomini armati presidiano i valichini montani, vagano per i prati e i campi o utilizzano poco meno di 8.000 appostamenti fissi per cacciare la migratoria con innumerevoli richiami vivi. Ufficialmente sarebbero cacciabili 36 specie di uccelli, ma oltre a queste vengono spesso abbattute anche quelle particolarmente protette, non cacciabili e utilizzati richiami elettroacustici vietati. Inoltre nei controlli si sequestrano spesso richiami vivi non consentiti e nei carnieri si trova avifauna abbattuta più del limite giornaliero consentito.
La caccia bresciana nasce storicamente dall'uccellagione, con l'uso delle reti e degli archetti, per poi evolversi aggregando ai suoi mezzi il fucile (l'unico strumento di caccia legale). Non é certo un caso che Brescia abbia la piú importante fabbrica d'armi d'Italia – la Beretta di Gardone Valtrompia – oltre a tante imprese minori e alcuni fra i piú rinomati retifici d'Europa – a Monteisola. Questa caccia bresciana che tradizionalmente è stata uccellagione e che nel 1992, con il recepimento in Italia (legge 157/92) della direttiva Uccelli della UE (direttiva 409/79) ha dovuto trasformarsi profondamente, dandosi una veste legale ed epurandosi di quanto non le era piú permesso, ha dimostrato negli ultimi anni di soffrire pesantemente sotto i nuovi limiti imposti.
Uccellagione con trappole e reti

Brescia è l'ultimo posto al mondo in cui vengono ancora utilizzati gli archetti (trappole a scatto a forma di arco che spezzano le zampe, selettive per pettirossi) posizionati tra gli arbusti e ai bordi del bosco. Sui prati e nei boschi sono diffusi i sep (trappoline a scatto metalliche) che catturano soprattutto balie nere e pettirossi. Le reti da uccellagione sono invece ampiamente utilizzate per la cattura dei tordi: gli animali finiranno poi in minuscole gabbie per essere utilizzati come richiami vivi nei capanni di caccia. L'uso delle bachette di vischio per catturare gli uccelli non è molto diffuso tra le montagne bresciane, ma ogni anno nei nostri campi antibracconaggio troviamo ancora qualche nostalgico di queste insidie.
Gli uccelli migratori come merce di scambio politico

I politici bresciani hanno molta influenza a Roma e la loro opposizione ai miglioramenti della legge sulla tutela dell'avifauna, per non parlare della loro pressione a riaprire cacce a specie protette in tutta l'UE, determinano la politica venatoria dell'intero Paese. A ciò si aggiunge la diffusa spinta separatista nel nord Italia che vuole staccarsi dall'organismo statale di cui fa parte, ottenendo l'autonomia: i politici estremisti di destra usano le restrizioni di caccia stabilite dalla legge nazionale e internazionale sulla conservazione della natura per favorire l'odio verso Roma e Bruxelles. In questo scenario, la caccia e l'uccellagione vengono elevate a "tradizione" e gli uccelli migratori diventano merce di scambio politico.
Uno studio più dettagliato della caccia a Brescia, lo puoi leggere a questo link:
Brescia, capitale della malacaccia. Dossier sulla caccia a Brescia