Deroghe venatorie in Italia
Con l’entrata in vigore della Direttiva Ue sulla protezione degli uccelli nel 1979, la maggior parte delle specie sono finite sotto protezione. A partire dalla fine degli anni ’80 il governo italiano ha in effetti aumentato i propri sforzi per offrire una migliore protezione all’avifauna migratrice nel quadro degl accordi internazionali (Direttiva Uccelli e Convenzione di Berna). Poi, nel 1992 il Parlamento ha approvato una nuova e relativamente avanzata legge quadro sulla caccia (la numero 157), che ha anche messo sotto tutela specie intensamente cacciate fino ad allora.
Peccato che da allora molte regioni - sotto la pressione delle associazioni venatorie - abbiamo sistematicamente cercato ogni anno di sfuggire agli obblighi imposti dalla nuova normativa nazionale, emanando provvedimenti amministrativi o addirittura leggi con l’unico fine della deregulation dell’attività venatoria; con lo scopo ultimo di offrire calendari di caccia più ampi e carnieri più abbondanti.
Lo strumento utilizzato è quello della deroga, e anche se le normative europee prevedono la possibilità per i Paesi membri di autorizzare l’abbattimento di specie protette in via eccezionale, solo a fronte di piccoli numeri e sotto stretto controllo, dagli anni ’90 molte Regioni sfruttano questa scorciatoia permettendo l’abbattimento di milioni di esemplari.
Insieme alle associazioni partner, il Cabs ha combattuto contro questa pratica per 20 anni, e alla fine ha vinto. Nel 2013, le deroghe sono state rese di fatto impossibili dalla legge italiana.
Le deroghe dal 1992 al 2010
Alla fine degli anni ’90 la sola Lombardia autorizzava ad abbattere più di 4 milioni fra fringuelli, peppole, storni e passeri, mentre nel 2010 il Veneto ha dato il via all’uccisione di 1.600.000 fra peppole, fringuelli, storni, pispole, prispoloni e frosoni. Numeri ovviamente di pura facciata: una volta che la specie diventa cacciabile, il rispetto dei limiti è una speranza da lasciare ai più ingenui. Di fatto, grazie alle deroghe per anni fra Lombardia, Veneto, Toscana e Marche sono stati abbattuti legalmente una decina di milioni di uccelli migratori protetti per stagione.
Tra i vari stringenti requisiti per poter autorizzare una deroga, la Direttiva Uccelli prevede le «piccole quantità». E le regioni hanno chiarito subito il loro concetto di «piccole quantità»: alla fine degli anni ’90, ogni anno circa 10 milioni di esemplari protetti sono stati presi a fucilate in Lombardia, Toscana e Veneto. E i controlli, sempre stringenti, previsti dall’Europa non ci sono mai stati.
Il CABS e il suo partner Lega per l’abolizione della caccia (LAC) hanno incaricato uno studio legale di impugnare i provvedimenti di deroga all’entrata in vigore degli stessi, ed è iniziata una serie di ricorsi vincenti davanti ai Tribunali amministrativi con bocciature sistematiche dei provvedimenti. Purtroppo però, nelle settimane che ogni volta sono intercorse tra il via libera alle cacce in deroga e la discussione dei ricorsi, i cacciatori hanno avuto mano libera.
Nonostante le prime sconfitte, le regioni hanno continuato a provarci con nuovi provvedimenti che aggiravano sistematicamente le norme europee e italiane, e nel 2009, il Veneto ha portato questa strategia all’estremo: in pochi mesi quella Regione ha riautorizzato la caccia a peppole e fringuelli per tre volte, replicando così con un nuovo parimenti illegittimo, a ogni bocciatura del proprio atto amministrativo da parte del Tar.
Le deroghe alla cattura degli uccelli con le reti
Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno cercato per anni di aggirare i divieti comunitari e nazionali anche a proposito della cattura di uccelli vivi de destinare a richiami per la caccia da appostamento. Le deroghe in questo campo hanno permesso di far funzionare decine e decine di grandi impianti di cattura con le reti (i roccoli) in cui finivano tra gli altri centinaia di migliaia di tordi e fringuelli. Esemplari poi destinati a trascorrere il resto della vita in piccole gabbie piazzate attorno ai capanni, cantando per attirare i propri simili davanti ai fucili.
Abbiamo intrapreso una serie di azioni legali anche contro questa pratica, di fatto vietata dalle normative europee e italiane, e anche in questi casi la giustizia amministrativa ci ha dato sempre ragione. Le reti sono state fermate. Fino almeno al 2020
2010: la Corte di giustizia europea condanna l’Italia
Nel 2010 la Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia per il continuo ricorso a trucchetti legislativi che miravano ad aggirare le leggi comunitarie. Le motivazioni dei giudici di Lussemburgo si possono riassumere in una critica nella mancanza di controlli e nei quantitativi enormi di animali prelevati e uccisi. In seguito a quella condanna, per la prima volta in quello stesso anno la Lombardia non ha promulgato alcuna deroga; ma è durata poco: nel 2011 tutto è tornato come prima con la concessione dell’abbattimento di cinque specie protette, anche se con «soli» 33.000 esemplari. Anche in quella occasione abbiamo fatto ricorso al Tar e li abbiamo fermati.
Proprio quel nuovo tentativo lombardo ha anche spinto la Commissione europea a minacciare l’Italia di gravi sanzioni. Di nuovo nel 2012 non ci sono stati tentativi di autorizzare nuove deroghe, ma senza andare troppo lontano: i piani per la caccia a peppola e fringuello per il 2013 erano già sul tavolo.
A quel punto le associazioni per la protezione della natura e degli animali in Italia, incluso il Cabs, hanno stretto un’alleanza per dichiarare una guerra totale alle deroghe. Con azioni legali dinanzi ai tribunali, una campagna politica e mediatica e numerosi incontri con la Commissione europea siamo stati in grado di aumentare la pressione, fino a ottenere che nell’autunno 2012 Bruxelles chiedesse espressamente al governo italiano di mettere fine agli aggiramenti regionali dalla legislazione nazionale. E nel 2013 il governo ha approvato una integrazione della legge quadro nazionale che in sostanza vieta alle regioni di promulgare deroghe. Da quell’anno non esistono più «permessi speciali» per sparare agli uccelli protetti in Italia.
Non solo: due anni dopo l’esecutivo ha anche messo fuori legge gli impianti di cattura con le reti, e dal 2015 i roccoli non possono più funzionare. Anche se ciò non ha impedito alla Lombardia di riprovare (inutilmente) ad aprirli nell’autunno del 2019.
Tanti successi, ma non basta
I populisti della destra apertamente pro caccia della Lega nord sono i promotori principali di quasi tutte le deroghe regionali a livello di abbattimenti e catture. Per anni questo partito in origine dichiaratamente separatista ha avuto un limitato consenso in poche regioni del nord; oggi invece è una delle forze politiche più influenti nel Paese. La sua politica vergognosamente pro-caccia si è manifestata anche negli sforzi per minare la Direttiva Uccelli, e in continui regolamenti promossi in aperta violazione di questa normativa e della legge nazionale di riferimento. L’ultimo della serie risale all’estate del 2019, col nuovo tentativo, poi fermato dalle associazioni, di riapertura dei roccoli.
Uno studio più dettagliato sulle cacce in deroga in Lombardia, lo puoi leggere a questo link:
Brescia, capitale della malacaccia. Dossier sulla caccia a Brescia
Video sulla caccia ai fringuelli e peppole in Italia (Brescia)
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