Veleni
L’uso del veleno per eliminare diverse specie di animali selvatici considerate indesiderate o addirittura «dannose» è praticato da molto tempo, ma è anche illegale ormai da decenni. In passato venivano impiegate sostante tossiche naturali come l’aconito, oggi invece si preferiscono pesticidi, in particolare i prodotti contro gli insetti, e le vittime sono quasi sempre i rapaci.
Di solito gli avvelenatori usano gli scarti di macelleria o le uova di pollo come contenitori da riempire con sostanze letali, rivolgendo la loro attenzione non solo agli uccelli da preda ma anche a predatori terrestri come volpi, lupi e mustelidi; senza dimenticare i cani e i gatti. Per l’avifauna una pratica seguita è anche quella di avvelenare preventivamente dei piccioni vivi (i piccioni kamikaze) per poi lasciarli volare via: con questa tecnica si eliminano soprattutto i falchi pellegrini e gli astori, che cacciano in volo e che raramente mangiano carogne.
Cadono spesso vittime delle esche mortali anche specie opportuniste come il nibbio reale e il nibbio bruno, che non essendo grandi predatori e invece consumatori di carogne non sono il bersaglio principale degli avvelenatori, ma rientrano nella casistica dei «danni collaterali» accettabili. In Spagna, in Italia e nei Balcani è inoltre diffusa la distribuzione di bocconi avvelnati piazzati per eliminare cani randagi, volpi e (solo nei Balcani) sciacalli dorati, e come detto a farne le spese sono spesso anche aquile, avvoltoi e poiane.
I responsabili di questa campagne di sterminio? Il contesto è spesso quello venatorio, per l’eliminazione di specie considerate «concorrenti». Ma entrano in azione anche allevatori di piccioni, di pollame e non pochi pastori, soprattutto in Spagna e nei Balcani.