Caccia illegale in Italia
In pochi altri Paesi dell’Unione europea la linea che divide i cacciatori con licenza dai bracconieri criminali è così sottile come in Italia. Il dato è emblematico: circa l'80% dei reati venatori sono consumati da persone titolari di licenza di caccia.
Nel nostro Paese, oltre all’uso di reti e trappole è diffusissimo il fenomeno dell’abbattimento a fucilate della fauna protetta, non solo degli uccelli. Prima dell’entrata in vigore della legge quadro 157 del 1992, i fringillidi come il cardellino, il lucherino, il frosone, la peppola e il fringuello erano cacciabili. Ora sono protetti, ma ancora considerati come bersagli, e quindi abbattuti o imprigionati come richiami vivi in nome di una presunta «tradizione».
Oltre ai fringillidi anche pettirossi, passere scopaiole, balie nere, ballerine, migliarini di palude, stiaccini, pispole e molti altri migratori sono vittime del bracconaggio e diventano materia prima per il confezionamento di piatti illegali.
Poi c’è il capitolo dell’uccisione dei rapaci, diurni e notturni, attuata per due ragioni diverse. Nel Sud, specialmente in Calabria, le fucilate dirette a falchi pecchiaioli e di palude sono ancora parte di un ridicolo rituale di mascolinità. Nelle remote zone di montagna dell’Aspromonte avvengono veri e propri massacri. Nel Nord e altrove, invece, poiane, gheppi, sparvieri, astori e anche pellegrini sono presi di mira dai capannisti perché spesso si avvicinano ai loro appostamenti a causa dei numerosi richiami vivi presenti, mentre i vagantisti li abbattono considerandoli competitori per la predazione attuata su fagiani e lepri.
Spesso però non esiste alcuna ragione pratica, per quanto ridicola possa essere, che spieghi le fucilate illegali. Un caso emblematico in questo senso è quello dell’ibis eremita, estintosi nel XVII secolo in Europa a causa della sola persecuzione umana. Da una ventina d’anni a questa parte in Germania meridionale e in Austria sono attivi progetti di reintroduzione di questa specie: peccato che i pochi soggetti riproduttori e i giovani migrino in autunno verso l’Italia settentrionale e centrale, dove sono ancora oggi vittime dei bracconieri.
Nel Delta del Po, invece, i cacciatori attuano sistematiche stragi di specie acquatiche protette (come l’oca selvatica) o cacciabili nonostante il forte calo numerico, come la moretta o il moriglione.
Esiste anche il problema della caccia al di fuori della stagione venatoria, ovviamente illecita, praticata in primavera soprattutto nell’Italia meridionale ma anche nelle isole dell’Arcipelago Pontino. Vittime predestinate i piccoli migratori, le quaglie e le tortore comuni di ritorno dall’Africa verso i siti di nidificazione.
Attraverso i propri campi di protezione in Italia, il Cabs documenta sistematicamente i casi di caccia illegale e contribuisce alla denuncia di molti cacciatori bracconieri, registrando particolari successi a Brescia, in Calabria e nelle isole di Ischia, Ponza e Palmarola.