Caccia in Italia
Nel nostro Paese è la legge 157 promulgata nel 1992 a definire le regole della tutela degli animali selvatici, considerati patrimonio indisponibile dello Stato, e a disciplinare la caccia, o meglio il prelievo venatorio. Venne scritta dopo una lunga e difficile trattativa fra il mondo ambientalista e le associazioni venatorie ed è una legge in materia ambientale fra le più avanzate d’Europa.
Purtroppo la maggior parte dei cacciatori non l’ha mai digerita, continuando a vivere nella nostalgia degli anni ’60 e ’70, quelli del grande sviluppo venatorio, quando un milione e quattrocentomila sparatori razziavano campagne, montagne, paludi e boschi abbattendo qualunque cosa si muovesse. Non è un caso che ancora oggi caccia e bracconaggio siano profondamente legati e che i Centri di Recupero per Animali Selvatici ricevano ogni anno in cura centinaia di uccelli protetti, in buona parte rapaci, presi a fucilate da titolari di licenza di caccia.
Dall’inizio degli anni ’90 a oggi questo mondo ha avuto un unico obiettivo: scardinare la 157 per recuperare i privilegi perduti. Non a caso si fa vivo regolarmente solo per tre ragioni: chiedere di aumentare le specie cacciabili, di dilatare la stagione venatoria e di accrescere i territori aperti agli spari. Il fine ultimo è solo poter sparare di più.
Poiché per decenni, azzerati dalle fucilate, gli ungulati come i caprioli e i cervi si erano rarefatti, la compensazione è stata ed è rappresentata dall’abbattimento degli uccelli migratori. Anche perché l’uso di trappole e reti, pur ampiamente diffuso, è totalmente vietato.
Oggi i praticanti italiani sono circa 500 mila, e le specie cacciabili sono in tutto 39. Oltre ai columbidi (come la tortora e il colombaccio), alle anatre (come marzaiola, alzavola e germano reale) e altri volatili come la pavoncella, la beccaccia e il beccaccino, è possibile abbattere cinque specie di piccoli migratori: allodole, merli, cesene, tordo sassello e tordo bottaccio. Inoltre fino a pochi anni fa alcune Regioni permettevano di sparare ad animali protetti introducendo le deroghe: in particolare fringuelli e peppole erano vittime di questa pratica davvero poco identificabile con le effettive possibilità concesse dalle norme dell’Unione europea. Oggi in deroga viene ucciso "solo" lo storno.
Per ogni specie sono previsti limiti giornalieri e stagionali di prelievo; normalmente molto, molto ampi. Variano di anno in anno e da regione a regione, e per fare qualche esempio si può andare da 3 beccacce al giorno a 10 allodole su base quotidiana, mentre per il tordo bottaccio si arriva a 25-30 capi quotidiani. Incredibilmente alti i numeri per le anatre: in Veneto sono 25 capi a testa ogni giorno. I limiti stagionali? Per una specie in fortissimo calo come l’allodola si arriva a 50 esemplari per stagione, ma i controlli sul rispetto delle regole sono così rari che le limitazioni restano normalmente sulla carta.
In Italia i titolari di licenza possono scegliere tra la pratica della caccia in forma vagante e quella da appostamento fisso, utilizzando in questo caso un capanno e uccelli selvatici cacciabili come richiami vivi.
In tutto il nostro paese, con delle punte in regioni come Lombardia, Veneto, Campania, Calabria, Toscana e Umbria, la caccia si interseca sistematicamente con il bracconaggio. Attraverso i campi antibracconaggio gestiti dal CABS in Italia siamo quasi quotidianamente testimoni dell'enorme giro di illegalità che avvolge il mondo venatorio.
Il nostro lavoro consiste proprio nell'ampliare la la superficie territoriale da mettere sotto controllo. Quando scopriamo l’abbattimento di specie protette, o il frequentissimo uso di richiami elettroacustici (vietati dalla legge), raccogliamo prove e informiamo le forze di polizia, ampliandone così il raggio d'azione.